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Le giornate di Milano

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Messaggio  Admin Gio Giu 03, 2010 4:27 am

In quel freddo mattino di marzo Milano sembrava buia e ostile come il cuore dei tanti stranieri che l’affollavano.
Non erano viaggi di piacere quelli che avevano portato nella capitale gente da tutto il Ducato

Piccoli gruppi di viandanti si incrociavano nelle locande o per le strette viuzze del centro squadrandosi lungamente con sguardi sospettosi

Muoversi silenziosamente, fuggire a occhi indiscreti, cercare di capire se chi avevano di fronte era un alleato o un sostenitore della causa avversa, se di li a poco avrebbe marciato al tuo fianco con la spada sguainata o ti avrebbe atteso dietro un angolo buio per tramortirti con un colpo di manico.

Kraj aveva lasciato alla Locanda i suoi compagni di gruppo per dare uno sguardo in città.
Susiku e Viola erano ancora mezze addormentate per la stanchezza del viaggio

Percorse uno stretto vicolo e sbucò davanti la piazza del mercato, meravigliandosi per quella folla , anche superiore alle sue aspettative.
Nei giorni precedenti aveva temuto che il cibo potesse scarseggiare nella Capitale con tutti quei visitatori e si era portato viveri per almeno una settimana, ma probabilmente molti avevano avuto la sua stessa idea e la merce più disparata era in mostra sopra le bancarelle.
Più tardi, promise a se stesso senza crederci troppo, sarebbe ripassato per comprare un paio di pantaloni rossi a buon mercato.

Nella piazza del municipio una folla di bambini sghignazzanti si era affollata davanti un piccolo teatrino di maschere
Al centro della scena, sapientemente mosse da mani esperte, due marionette con le fattezze di Romualdo e Braken.
Erano impegnate a contendersi una grossa corona d’oro, ma Il duello sembrava avere ben poco di cavalleresco perché i due pupazzi incrociavano le spade schiamazzando e apostrofandosi in modo buffo.

Mentre i bambini incitavano a gran voce i due aspiranti principi era apparsa una terza marionetta a bordo di una gondola veneziana.
Ne era sceso un individuo con lunga barba e folti capelli bianchi che dapprima si era rivolto verso i piccoli spettatori, portando una mano alla bocca nel segno del silenzio, poi saltellando furtivamente aveva afferrato la corona da sotto il naso dei due contendenti che continuavano a combattersi e ad urlare nonostante i bambini cercassero di avvertirli in ogni modo.

Kraj sorrise e continuò la sua passeggiata per le vie della città.
Vide la bella Junglesymo, sua concittadina e Giudice del nuovo consiglio degli “usurpatori”.
Procedeva con passo spavaldo senza alcuna scorta, incurante degli sguardi di odio o ammirazione che la circondavano.

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Messaggio  Admin Gio Giu 03, 2010 4:32 am

La città quel giorno si era popolata fino all’inverosimile. Facce e storie che si mescolavano nel cuore di Milano.

Danitheripper non poté nascondere un moto d’orgoglio alla vista delle taverne piene. I milanesi si univano per riprendersi la loro Capitale. Pensò al rischio che incombeva fuori dai loro confini e si disse che quelle stesse persone che avevano abbandonato le proprie case senza pensarci due volte, magari avrebbero fatto lo stesso per difendere i confini in caso di bisogno. Non erano molli cittadini radunati alla bisogna come qualcuno poteva pensare vedendoli ridere ed ubriacarsi, ma agguerriti soldati pronti a combattere. Vedeva in loro il futuro, la speranza del Ducato contro il vero nemico, quello che approfittando degli eventi avrebbe potuto incombere. Quanta gente combattiva ed ignara ...

Molti non si ponevano neppure il dubbio che gli usurpatori non fossero diversi da loro, che avevano vissuto le loro vite all’ombra di un Ducato assopito e che avevano scelto di destarsi da quel torpore. Milano era viva e l’avevano svegliata loro. Si sentì tronfia di orgoglio e speranza. Vedeva quei volti, e le sembrava di scorgere il loro disprezzo, eppure ella non riusciva a nascondere un sentimento di giubilo.

“Perché Dani? - Le ripetevano – Perché lo avete fatto?” “Amici, fratelli, nemici, perdonatemi ma non esiste un solo perché. Sarebbe riduttivo. Voi stessi date delle risposte a questa domanda e spesso anche le vostre risposte hanno un senso”.

C’erano i suoi amici, quelli che irriverenti offendevano con la propria presenza il vecchio governo, e con loro c’erano mille altri perché che ronzavano nelle loro teste.

Pierluigi le aveva sempre insegnato che la sincerità era importante e che andava portata avanti la verità. Non esisteva una sola verità … per quello andavano portate avanti tutte.

Il lenzuolo era caduto e tutti avevano potuto vedere che sotto il monumento era fragile. I consiglieri erano solo uomini, avevano sbagliato ma non sempre gli errori passano in silenzio, non sempre si può perdonare. Nessuno avrebbe perdonato i porcelli mannari per quello che stavano facendo. E' la vita: giudicare ed essere giudicati.

C’era una sostanziale differenza però. I porcelli mannari si erano esposti assaltando e andavano verso la giustizia consapevoli che avrebbero dovuto affrontarla, i consiglieri invece si erano esposti al giudizio candidandosi ma di certo pensavano che l’avrebbero fatta franca qualunque cosa fosse successa.

Era questa l’accusa maggiore che traboccava da quegli indici puntati contro: perché se volevate cambiare le cose non vi siete candidati? Ed ecco una novità, una risposta: perché le cose non sarebbero cambiate. I futuri consiglieri magari sarebbero stati meno superficiali grazie a loro. Sì, proprio grazie, un punto a loro favore. Mai più Milano avrebbe visto dodici consiglieri uniti e concordi, ma anche questo la gente tendeva a dimenticarlo. Nessuno tocchi più Milano, che Milano però non dimentichi …

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Messaggio  Admin Gio Giu 03, 2010 4:33 am

Molte le conclusioni che trasse dall'esperienza precorsa, ma decise di soffermarsi su una in particolare perchè, ora sapeva.

Sapeva su cosa e chi contare con chi confrontarsi, con chi colloquiare e scambiare pareri ed opinioni.

Aveva udito parole spocchiose urlate senza logica, aveva ascoltato i cortesi sussurri d'approvazione nonché di disapprovazione.

Ora comprendeva che non era da tutti avere il fegato di esporsi e dire "SONO CON TE"; era di alcuni sussurrarlo, ma era da molti sommessamente seguire la massa pur non condividendone il pensiero.

E, finalmente, con la primavera giungeva l'ora delle sacrosante pulizie!

Aveva conosciuto molte nuove persone in circostanze non benevoli e lo sapeva, ma di quelle che già conosceva adesso si era fatta un quadro luminoso, chiaro, definito.

Decise di comportarsi saggiamente, scegliendo o i suoi amici per la loro bellezza, le sue conoscenze per la loro rispettabilità, ed i suoi nemici per la loro intelligenza.

Salutati gli astanti iniziò il suo vero viaggio di scoperta che, non consisterà nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi.

J.R.

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Messaggio  Admin Gio Giu 03, 2010 4:34 am

Guidare un esercito e sentirsi dannatamente soli ... “Non c’è nulla di male nella solitudine Dani - le ripeteva il suo maestro d’armi. - E’ il tuo destino … non puoi andare incontro al tuo destino pensando che esso sia quello sbagliato”.

Per tutta la vita era stata un soldato, doveva farsene una ragione: non avrebbe mai smesso di esserlo. Era bastato un appello del Capitano Tancredi per far crollare il Castello che lei ed i porcelli mannari stavano costruendo. Quella che era stata la forza di quel gruppo era stata la loro rovina: erano tutti irrimediabilmente, ineluttabilmente dei soldati.

Avrebbero voluto regalare a Tancredi un Ducato forte in cui lui avrebbe potuto gestire le difese senza attendere inutilmente le risposte di un gruppo di parrucconi. Non avevano nominato un Capitano perché non ne avevano bisogno, perché Tancredi era il loro Capitano da sempre.

Gli usurpatori erano andati via, avevano accettato di restituire il giocattolo a chi lo invocava disperatamente, ed il fulcro di tutto era lui: Tancredi De Rossi, il Duca che avrebbero voluto avere, il politico che barattava una poltrona con una trincea. Non conigli ... piuttosto polli mannari.

A chi le chiedeva se fosse valsa la pena di mollare una vita rispettabile per non giungere a nulla, lei rispondeva di essere solo un po’ stanca ma non pentita. Aveva fatto di tutto per deporre un Duca che non la rappresentava, e adesso che lo aveva visto trascinato in qualche modo nuovamente sul trono, poteva solo dire: "Sì, farò silenzio, ma mi ribello". Aveva tramato contro il suo Ducato non per la sua rovina, tutt’altro, lei e i suoi amici avevano scoperto e testato falle che altri adesso avrebbero potuto sanare saziando il loro ego.

Vedeva pseudo eroi sorgere intorno a lei, ma non scorgeva in essi il germe del coraggio, solo un’espressione bronzea, tipica delle facce toste. Si autoproclamavano paladini, ma lei non si curava di loro, il vento li avrebbe spazzati via al primo soffio. Come sarebbe volato via il loro Duca se non fosse stato sorretto da spalle più larghe.

Gli eroi per lei erano quei dodici che per una settimana avevano mandato avanti un Ducato che li disprezzava, che avevano provato a cambiare una situazione che stava degenerando non con vuote parole ma coi fatti.

“E’ solo dopo aver perso tutto che si è liberi di fare qualsiasi cosa”. “Maestro solo disperazione può attendere chi non ha più nulla, non libertà” Fortunatamente lei aveva avuto torto.

I giorni a Milano sembravano ormai lontani. Avevano desiderato che la tanto invocata democrazia tacesse, per un momento, per sentire chi parlava a bassa voce, e le voci si erano sollevate, avevano urlato, avevano mostrato volti deformati dalla rabbia.

Quando le maschere cadono fanno incredibilmente baccano. I calmi, pacati, melliflui, cercatori di voti, cacciatori di poltrone, si erano mostrati per quello che erano. In tanti avevano fatto finta di non vedere, ma qualcuno iniziava a capire e questo, pur non bastando, era stato importante.

Il volgo chiamava morale solo l’unzione moralistica, per questo i politici avevano buon gioco. Ciò che i porcelli mannari avevano fatto non era morale ma lecito: svegliare un Ducato che dormiva sugli allori e restituirlo alla sua gente rinvigorito ed umile. Umile … magari no, o chissà … speranze, forse vane, i proclami del poi rivelavano più boria di quanto non sarebbe stato lecito attendersi.

“Comandante – le stava chiedendo Levante – cosa turba i suoi pensieri? Mi perdoni la domanda diretta, ma lei non parla molto e quando lo fa è uno scherzo o una minaccia”. “Levante - gli aveva risposto senza distogliere lo sguardo da un punto invisibile dell'orizzonte - attendo la giustizia che gli altri invocano, odio la sua lentezza. La pazienza non è mai stata il mio forte, ho un futuro che invoca il mio nome”. “Potrebbe non piacerle quello che decideranno. Potrebbero essere spietati” “Mio vecchio soldato, pensi davvero che possano farmi paura? Nulla di ciò che potrebbero farmi potrebbe scalfire la mia armatura. Comprendo ed ammiro il loro odio, ognuno dovrebbe perdonare i propri nemici, ma non prima che questi siano impiccati”. “E adesso? Cosa succederà?” “Aspetterò domani per avere nostalgia Levante. Non ho ancora finito. Appena saprò che né i miei amici, né i miei nemici, avranno più bisogno di me, andrò via in silenzio, così come un giorno sono entrata nelle loro vite”.

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Messaggio  Admin Gio Giu 03, 2010 4:34 am

Tergesteo sedeva silenzioso presso il fuoco di campo.
Ascoltò la propria Sorella di Morte.
Ogni giorno che passava scopriva in lei un lato nuovo ed inesplorato.

Si alzò e si mise a guardare le ultime braci che una ad una regalavano gli ultimi bagliori prima di spegnersi.
Rammentò le visioni che ebbe a Milano. Il terrore che lo pervase anche soltanto a raccontarle.

Guardava le braci.

"Sorella, tu hai dato ascolto al folle. La saggezza ora ti accompagna".

Guardava le braci.

Tergesteo in cuor suo sperava di essere ancora scosso da quelle terrifiche visioni...

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Messaggio  Admin Gio Giu 03, 2010 4:35 am

Danitheripper alzò lo sguardo solo quando si accorse della presenza di Tergesteo. I suoi occhi si posarono su quelli di quel soldato che lei chiamava fratello. In quel momento avvertì quanto fossero simili le loro solitudini

“Due solitudini non fanno una moltitudine fratello di morte. – Gli disse regalandogli una smorfia che poteva somigliare ad un sorriso. - Ma dividere una birra ed un fuoco non ci farà male”.

Tergesteo accettò il bicchiere che ella porgeva ma non iniziò a bere. “Come fai a procurarti sempre della birra dovunque ci troviamo?” Quando lo vide poggiare la bocca sul boccale non poté resistere e lo interrogò “Terge, perché hai scelto di essere pazzo? Perché mostri alla gente quello che non vuole vedere? Non sarebbe stato più facile per te restare a Fornovo, in quella locanda in cui ti ho conosciuto, laddove la gente ti ama e non ti chiede di tacere se non gli piace quello che dici?”

Tergesteo si fermò un attimo, immobile nell’atto di bere, seppure il liquido biondo ancora non avesse raggiunto le sue labbra dischiuse. Chiuse per un momento gli occhi, quasi a volersi concentrare, poi il movimento del pomo d’Adamo rivelò che il liquido aveva trovato la sua strada.

Mentre Tergesteo beveva la mente di Danitheripper andò a posarsi lievemente sul ricordo di Ippolita, colei che da sola aveva saputo dare corpo ai suoi fantasmi e l’aveva indotta ad affrontarli, di Amsterdam, colui che le aveva messo una penna in mano e le aveva detto “Racconta” e di Braken, che la sorte aveva voluto Duca. Quelle persone dormivano a pochi metri da lei, ma già elaborava il lutto del distacco.

“Un giorno promisi a Braken che avrei redatto per lui i Commentari della guerra Brakeniana, - aveva ripreso a fissare l’orizzonte e a dar corpo ai suoi ricordi - lui di certo non lo ricorda, ma nella mia lista delle cose da fare prima di morire ammazzata c’è ancora questo progetto. Dovrei indurlo ad imbarcarsi in qualche impresa all’estero, perché io possa mantenere quel vecchio impegno. Le folle invocano la pace, invocano l’armonia, potrò mai scrivere una storia che non abbia un lieto fine? Potrò vivere cercando l’azione, scrivendo storie in cui siano bandite le parole pace e amore?”

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Messaggio  Admin Gio Giu 03, 2010 4:36 am

Tergesteo appoggiò il boccale vuoto.
Fissava il fuoco come ad averne una ispirazione.
"Vedi, quel fuoco continuerà ad ardere e a bruciare e ad illuminare anche se non lo volesse. E' la sua natura, non l'ha scelta. Gli è toccata in sorte".

Si distese a guardare il cielo , le mani incrociate dietro alla nuca.

"Io non ho scelto. E' la pazzia che ha scelto me. Ella è una benedizione ed una maledizione. A me è concesso di parlare liberamente ... purtroppo pochi mi ascoltano. Anzi quasi nessuno.
Ma forse a ben pensarci ... sono io che non ascolto o meglio non comprendo.
Io le cose non le comprendo come le comprendono gli altri.Le vedo diverse".

Volse la testa . L'esistenza di Tergesteo era disseminata di distacchi che egli affogava nel delirio o nell'oblio.

Guardò la sorella di morte. Sorrise. Si distese su di un fianco e si coricò.

"Ci sono serpenti dell'esterno ritorno ai quali non può staccare la testa , Tergesteo...preparati ad un affronatare un altro dolore diverso ma sempre uguale" pensò prima di addormentarsi.

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Messaggio  Admin Gio Giu 03, 2010 4:38 am

"Vedi, quel fuoco continuerà ad ardere e a bruciare e ad illuminare anche se non lo volesse. E' la sua natura, non l'ha scelta. Gli è toccata in sorte".

Danitheripper non voltò gli occhi verso la fiamma ma continuò a fissarlo per non perdere il senso delle sue parole. Gli occhi e le rughe di Tergesteo spesso rivelavano più di quanto la sua favella non avesse il coraggio di fare.

"Io non ho scelto. E' la pazzia che ha scelto me. Ella è una benedizione ed una maledizione. A me è concesso di parlare liberamente ... purtroppo pochi mi ascoltano. Anzi quasi nessuno. Ma forse a ben pensarci ... sono io che non ascolto o meglio non comprendo. Io le cose non le comprendo come le comprendono gli altri.Le vedo diverse".

Si guardarono, poi lui sorrise, si distese su di un fianco e si addormentò. Lei considerò chiusa la conversazione, si alzò, ravvivò il fuoco e riprese il filo dei suoi pensieri.

Ljsandro che aveva assistito alla scena fissava inebetito Tergesteo che dormiva. "Comandante, ma come? Permette un simile mancanza di rispetto? Quella volta in cui mi sono addormentato io in sua presenza, mi sono risvegliato su un ramo, con le braccia coperte di pece e piume, ed assicurato ad una corda che mi ha impedito di spezzarmi il collo quando sono caduto, disorientato dal non capire dove mi trovassi. Tuttora gli altri mi chiamano angioletto perché dimenandomi sembrava volessi spiccare il volo"

"Ljsandro, ti eri addormentato durante il tuo turno di guardia. E' stato solo un modo per educare il tuo spirito alle conseguenze della sua debolezza. - Dentro di sé rise di gusto, ma esternamente Danitheripper restò impassibile. - Tergesteo invece dorme il sonno dei folli. Non vedi come il suo corpo è scosso da movimenti repentini e violenti? Credi che egli riposi? Egli vede il futuro, vede ciò che sarà. Svegliandolo forse lo salverei da se stesso, ma si tratterebbe solo di rimandare l'incontro coi suoi demoni".

Le giornate si susseguivano, Milano sembrava lontana, e loro alla fine si erano candidati perché almeno un loro rappresentante fosse di monito al nuovo Consiglio che i porcelli quando non agiscono vegliano.

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Messaggio  Admin Gio Giu 03, 2010 4:39 am

Tergesteo dormiva.
O meglio tentava di nascondersi. Sperava che gli incubi lo lasciassero in pace.
Si sbagliava. Anche quella notte l'orrore venne a fargli visita.

Camminava nel buio. Avvolto dal buoi. Sentiva una oscura presenza seguirlo. Accelerò il passo. Corse. nella foga della corsa si voltava e vedeva quella figura eterea a mezz'aria che lo seguiva.
Aveva fattezze di donna.

Tergesteo cadde a terra, la figura lo sovrastò.
Si portò le mani suo viso e proteggersi. O solo a togliersi dagli occhi quella visione.
Inutile.
La figura si avvicinò e gli carezzò il volto.
Tergesteo era paralizzato dal terrore ma dilaniato dalla curiosità di cosa stesse accadendo.

La figura femminile gli sussurrò gentilmente.

"Dai nostri migliori nemici noi non vogliamo essere risparmiati, e neppure da quelli che noi amiamo dal fondo del cuore. Lasciate dunque che io vi dica la verità!

Fratelli miei in guerra! Io vi amo dal profondo del cuore, io sono ed ero vostro pari. E sono anche il vostro migliore nemico : lasciate dunque che io vi dica la verità!

Voi per me dovete essere quelli il cui occhio sempre ricerca un nemico - il vostro nemico.
Il vostro nemico dovete cercarvi, la vostra guerra dovete condurre, e per i vostri ideali! E se il vostro ideale soccombe, pur tuttavia la vostra buona fede dovrà gridare al trionfo!

Dovete amare la pace come un mezzo per nuove guerre. E la pace breve più che la lunga. Non vi consiglio il lavoro, ma il combattimento.
Non vi consiglio la pace, ma la vittoria.
Sia il vostro lavoro un combattimento, la vostra pace una vittoria!
Non si può tacere e starsene tranquillamente seduti, se non con la freccia e l'arco al fianco: altrimenti si fanno chiacchiere e si litiga. La vostra pace sia una vittoria!
Voi dite che è la buona causa che santifica la guerra. Ma io vi dico che è la buona guerra che santifica qualunque causa.
La guerra e il coraggio hanno compiuto cose più grandi che l'amore del prossimo. Non la vostra compassione, ma il vostro valore fino ad ora ha salvato le vittime.

'Che cosa, è buono?' voi chiedete. Essere valoroso è buono. Lasciate che le ragazzette dicano che essere buono è ciò che è insieme grazioso e toccante.
Vi considerano senza amore: ma il vostro cuore è puro, e io amo il pudore della vostra cordialità.

Voi dovete avere solo nemici da odiare, non nemici da disprezzare. Dovete essere orgogliosi del vostro nemico: allora le vittorie del vostro nemico saranno anche le vostre vittorie.

Rivolta: questa è la distinzione dello schiavo. La vostra distinzione sia l'obbedienza! Il vostro stesso comando sia l'obbedienza!

A un buon guerriero suona più gradito 'tu devi' che 'io voglio'. E tutto ciò che a voi è caro, voi dovete lasciare che prima ve lo comandino.
Il vostro amore alla vita sia amore alla vostra speranza più alta: e la vostra speranza più alta sia il più alto ideale della vita!
Ma il vostro più alto ideale voi dovete lasciarvelo comandare da me: esso dice che l'uomo deve tramontare, consumarsi per l'amore dell'azione, cercare il gesto cristallino.

Dunque, vivete la vostra vita di obbedienza e di guerra! Che importa una lunga vita? Quale guerriero vuole mai essere risparmiato?
Io non vi risparmierò, perché vi amo dai profondo, del cuore, o miei fratelli nella lotta!"

L'alba ghermì Tergesteo con artigli rossastri ed amichevoli.
Cominciava una nuova giornata, ma il tramonto era lontano.
Cercò con gli occhi stravolti un qualche volto amico che potesse aiutarlo a liberarsi del fardello notturno.

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Messaggio  Admin Gio Giu 03, 2010 4:40 am

Tergesteo si destò volgendo intorno uno sguardo stralunato, lo sguardo di un uomo che è stato strappato ai suoi sogni improvvisamente, fuggendo da un incubo spaventoso. La fatica di vivere si leggeva in ogni tratto della sua persona, ma anche la capacità di giudicare gli uomini.

Danitheripper aveva vegliato sul sonno del fratello di morte e lo aveva sorpreso più volte sul punto di cedere a un nemico invisibile. Spasmi atroci avevano attraversato continuamente quel corpo possente. Grida senza voce che cercavano uno sfogo e che morivano su labbra serrate. Per tutta la notte aveva penato accompagnando con lo sguardo quei suoi movimenti repentini. Era come se ci fosse una guerra in corso e che avesse scelto Tergesteo come campo di battaglia. Più volte sentì l’esigenza di stringersi ancora di più il mantello addosso, come se il freddo le fosse penetrato fin dentro l’anima.

Tergesteo non diceva nulla: stringeva le palpebre per ricacciare indietro le lacrime, per dominare il terrore, l’angoscia del vuoto, la morsa del freddo e del buio. Non gli sfuggì l’espressione attonita della sorella di morte: “Non hai domande per me?”

“Tu fronteggi ora una verità emersa dal buio, quando il male è nascosto, ci divora lentamente senza che noi possiamo opporvi alcun rimedio. Io non posso farti ulteriori domande, ho appena visto quanto impietoso sia l’impeto della tua follia, essa mi ha colta di sorpresa, d’ora in poi pregherò per te io che non ho un Dio”.

Tergesteo sembrò riflettere, si alzò in piedi,, cancellando in un sol colpo le rughe e l'orrore, poi con uno sorriso addolcito dalla luce del giorno le piantò sul volto due occhi divertiti e le disse: “Sorella, se hai uno scopo o una meta, per favore, prendimi con te.”


Danitheripper non lo prese sul serio: “Tergesteo, giunsi a Milano come te stremata dalla lunga attesa e dall’inedia, partimmo insieme in preda alla disperazione, la nostra meta è lontana da quella città e da quegli uomini arroganti. I nostri compagni rischiano di sedersi su quegli scranni che noi violammo, cosa ci resta se non paura per l’ignoto, solitudine e follia? Non ho uno scopo: ho solo me stessa”

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Messaggio  Admin Gio Giu 03, 2010 4:42 am

Tergesteo sedeve su un colle poco lontano dall'accampamento.
Ripensava ancora al collquio che ebbe poco prima col Comandante della Brigata "Ananke".

Ripensava al turbamento e all'orrore dell'ultimo incubo.
Cionostante non si perdonava di aver rivolto alla Sorella di MOrte quella frase che ai proprioochhi appariva sconveniente :"“Sorella, se hai uno scopo o una meta, per favore, prendimi con te.”
Tergesteo non distingueva se a tormentarlo maggiormente fosse l'imbarazzo per aver messo a nudo parte dei suoi pensieri oppure il peso del vincolo che aveva riversato su Dany : i vincoli son catene pesanti da portare, catene che in battaglia appesantiscono il passo e rendono debole la mano.

Si alzò e guardò l'accampamento lontano.
Ridiscese il colle.

Il Comandante di Ananke sedeva nella sua tenda davanti a delle carte topografiche.
Chiese il permesso per entrare . Il permesso gli fu concesso.

"Tutto bene, soldato?" chiese il Comandante non lasciando trasparire alcuna emozione.
"Tutto bene ..... sorella!"
All'ufficiale parve strano che il soldato Tergesteo Barbarigo avesse infranto l'etichetta militare. Ella alzò il volto a scrutare il militare.

"Sorella, abbiamo guardato a lungo nell'abisso e ora... e ora anche l'abisso ci guarda dentro.
E ha trovato orrore, solitudine e follia.
Cionondimeno fra questi mostri si nasconde anche un lampo di verità.
Credo di aver compreso che il mio..."
Si interruppe e guardò la donna nell'uniforme dei Dragoni"... il nostro scopo sia quello di far roteare una spada.

Vedi ci sono uomini che vanno in guerra per lenire le piccole e grandi ferite che subirono in tempi remoti, ben oltri i propri ricordi ... costoro fanno roteare le spade per morire con un sorriso sulle labbra, ben oltre i propri pensieri, lontano dai propri incubi.

Credo che appena tutto sarà finito mi cercherò un altro ingaggio come combattente ....".


Seguì un breve silenzio.

"Tuttavia, ti chiedo di essere al mio fianco quando la Morte verrà a farmi visita..."

Tergesteo rimase come inebetito dalle proprie parole : aveva speso la vita a dare, gli pareva cosa assolutamente nuova chiedere.

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Messaggio  Admin Gio Giu 03, 2010 4:44 am

Tergesteo le aveva fatto una richiesta ben precisa. Lo aveva visto giungere come sollevato dal vento, lo aveva ascoltato attentamente. Quando egli finì di parlare cercò il suo sguardo ma lei lo sfuggì. Aveva preso ad armeggiare con l’elsa della sua spada e sembrava evitare di guardare negli occhi il soldato cercando di nascondere quello che gli occhi non riescono.

“Non ci pensare - disse Danitheripper come se invece lo stesse guardando in viso. - I superstiti di un’impresa non possono che sentirsi legati. A volte per il resto dei loro giorni”. Proferì quelle parole con un tono di leggera ironia. Aveva sempre vissuto come un maschio, si era abituata a sopravvivere in un ambiente duro, difficile e spesso ostile, a difendersi e a offendere senza esclusione di colpi, a indurire il corpo e l’animo. La notte trascorsa a vegliare sul sonno di Tergesteo le aveva mostrato una sensibilità di cui non si riteneva provvista.

“Tergesteo, tu confondi il mio stupore. Non è la confidenza che mi usi a spiazzarmi, ma il tuo repentino cambiamento. Stanotte ho assistito al tuo tormento, adesso che il sole è alto giurerei di aver di fronte un altro uomo con un’altra storia. Comando un esercito che è destinato all’oblio, Ananke presto sarà solo un nome nella mia memoria. Usa il mio nome, siamo sempre stati dei pari, avvezzi alla confidenza, insieme abbiamo seguito il nostro Capitano Tancredi e ci siamo scelti Braken come Duca dopo aver visto il suo valore al comando dell’armata Gemina Obscura. Non ho più gradi, non ho più titoli, mi chiami sorella e questo sono, una sorella di morte che non giudica come hai deciso di condurre la tua vita”.

“Che ne sarà di noi?”

“Siamo una strana razza di soldati. Di solito i militi ubbidiscono a degli ordini e hanno orrore del caos. Gente come noi non può fare a meno di cercare il caos. Non vorrei lasciare te e gli altri ma abbiamo avuto la nostra occasione e l’abbiamo giocata. I dadi ci sono stati amici, noi fummo i cavalieri che fecero l’impresa".

Danitheripper avvertiva ancora un muro tra loro, prese coraggio e parlò con tutta la sincerità di cui era capace "Terge ... stanotte ti ho visto nudo, ho guardato dentro la tua anima e ho avuto freddo, vorrei poterti aiutare, prendere su di me i tuoi demoni. Io riemergo dalla notte con mille domande, tu hai una compagna che si chiama follia".

Prese le sue mani tra le sue in un gesto dettato dalla confidenza, le sentì fredde, rabbrividì. “Quando provi qualche cosa che sia anche solo un minimo diverso da quelli che sono i canoni di un certo consenso, sei irriso dal mondo intero e diventi lo scemo del paese, ma io so che tu voli su ali di falco, che non ti fermi di fronte alle montagne, che le tue parole rimandano ad immagini e le immagini ad un sentimento arcaico di passione e tormento. L’unica vera avventura è la vita fratello, nel corso del viaggio supereremo le nostre meschinità, i nostri vizi, le nostre debolezze ma non ci meritiamo una sola meta, gente come noi ha bisogno di non arrivare mai”

Non aveva dimenticato la domanda più importante e vincolante che quell’uomo le aveva rivolto “… ti chiedo di essere al mio fianco quando la Morte verrà a farmi visita..." “Scusami fratello, hai il diritto ad una risposta – teneva ancora le sue mani tra le sue ma adesso le sembravano più calde. – Io ci sarò”

Era una promessa impegnativa ma in quel momento sentiva con tutta se stessa che l’avrebbe mantenuta, a costo di ucciderlo con le sue mani. Ma questo non glielo rivelò.

Non lo incontrò più per tutto il giorno e per quello appresso, Fornovo si avvicinava e non era che l’inizio di un nuovo viaggio e di nuove avventure.

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Messaggio  Admin Gio Giu 03, 2010 4:45 am

Fornovo.
Alla fine era ritornato a Fornovo.
Tergesteo guardava l'approssimarsi delle mura cittadine.
Respirava aria di casa. La sua mente andava al campo che aveva venduto prma di partire, certo di non fare più ritorno.
Ripensò alle missive scritte poco dopo l'assalto, quando la tempesta infuriava "Povera figlia mia, penserà che ha un padre melodrammatico..." pensava sorridendo.

"Ananke" passò la porta cittadina. La sensazione di vedere di nuovo i volti amici dei Fornovesi lo tranquillizzò.
Il drappello arrivò fino alla piazza principale. Fu ordinato il rompete le righe.

Tergesteo cercò con lo sguardo il comandante di "Ananke".
Per un paio di giorni non avevano parlato fra loro, forse anche evitati : mettere a nudo la propria anima è impresa assai ardua per un militare e necessita di cure più di qualuque ferita.Lo sapevano entrambi.

Mentre consegnava il cavallo ad un inserviente, Tergesteo lesse distrattamente nella bacheca del municipio un avviso circa le nomine fornovesi alla Camera dei Mestieri. Osservò i sigilli del Ducato.
Sorrise. La giostra era cominciata.
Vendetta ammantata di giustizia.
"Preferisco che la vendetta mi abbracci come abbraccia una fanciulla avvenente : con l'occhio illuminato di voluttà e senza veli..." esclamò il folle "... giustizia, decoro, dignità, virtù... ".

Tergesteo rammentò
"Che la nostra virtù sia voi stessi, e non un'estranea, una pelle, un mantello: questa sia la verità che scaturisce dal profondo delle vostre anime, o virtuosi!

Vi sono altri alcunì chiamano virtù la putrefazione dei loro visi; e quando il loro odio e la loro gelosia si sono stiracchiati, la loro 'giustizia' si sveglia e si stropiccia gli occhi assonnati.

E vi sono altri che arrivano pesanti e cigolanti, simili a carri che portino giù pietre: parlano molto di dignità e di virtù; e chiamano virtù i freni!

Vi sono altri che vanno orgogliosi della loro manciata di giustizia e commettono per amore di questa delitti verso tutte le cose: così che il fondo finisce annegato nella loro ingiustizia.
Ahimè, come suona male la parola 'virtù' sulle loro labbra! E allorché dicono: 'Io sono giusto', è sempre come se dicessero: 'Sono vendicato!'
Con la loro virtù vorrebbero cavare gli occhi ai loro nemici; si innalzano solo per avvilire gli altri."

Non sapeva donde venissero quei vesi, ma facilmente erano il ricordo di notti di delirio.

"Eppure io amo questi uomini : essi mi spingono verso l'abisso. Essi mi sferzano verso decisioni che altrimenti non prenderei.
Li reputo dei nemici e li amo per questo".

Tergesteo salì su una delle torri della cinta muraria.
Sedette su di un merlo a godersi il panorama.
Guardò le proprie mani.
Le guardava come si guarda qualcosa di rinnovato, con attenzione, soppesando il minimo particolare.
Ripensò a quanto accaduto.
Quelle parole.
Quei gesti.
Quella impegnativa promessa.

Si lasciò accarezzare dal vento. Era da tanto che non si sentiva così bene.

Prese il pugnale che aveva alla cintola.
Passo la lama sul palmo della mano, ferendosi.
Osservava il sangue scivolare dalla mano.
Ripetè il motto della Compagnia "Castor" : "Signemus fidem sanguine!"
Era ansioso di scendere in battglia a fianco della propria Sorella.

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Messaggio  Admin Gio Giu 03, 2010 4:47 am

Fornovo.

Erano arrivati.

Il confine, la porta d’ingresso di un vagheggiato pericolo, ma anche la porta d’uscita verso terre ancora tutte da esplorare. Braken le aveva detto che aveva eletto Fornovo a sua dimora perché non aveva potuto farne a meno. Adesso che rivedeva le case, i volti, le taverne, si sentiva come se se stesse tornando verso il suo punto di partenza. Ci aveva trascorso ben due mesi, in missione, ed erano stati i due mesi che le avevano stravolto la vita perché lì aveva stretto dei legami così forti da toglierle il respiro al solo pensiero.

Qualcuno credeva che tutti i fornovesi fossero coinvolti nell’assalto al Castello, quell’idea la faceva sorridere. Quanto di più lontano dalla realtà … i fornovesi si preoccupavano da sempre di difendersi da ogni singolo folle cui fosse venuto in mente di assaltare il loro municipio e di saccheggiarne le casse. Quegli uomini e quelle donne erano abituati a vivere spalla a spalla con una spada in mano, non potevano che sentirsi legati, pronti a perdonare e a giustificare le intemperanze di uno sparuto gruppo di loro.

Si arrovellavano il cervello e si dannavano, cercando un modo esemplare per colpire un’intera città, convinti di mettere i fratelli l’uno contro l’altro, ma non sempre i fratelli litigano.

A differenza di Braken lei non sarebbe rimasta, la sua casa era a Piacenza. Non vi faceva spesso ritorno, ma se fantasticava su un rifugio in qualche parte del mondo la sua mente le rimandava l’immagine di quella piccola bottega in via Palermo, a ridosso del lago. Nessuno abitava nelle costruzioni adiacenti, come se con la sua presenza ingombrante avesse dissuaso anche il più coraggioso degli uomini ad eleggere lei per vicina.

In piazza ordinò il rompete le righe.

Non parlava con Tergesteo da due giorni ma quando i soldati abbandonarono i ranghi compatti fu lui che cercò in mezzo agli abbracci ed alle strette di mano di chi si salutava. I loro sguardi s’incontrarono e le scappò un sorriso. Rincuorata da quel momento di tregua tra due anime irrequiete trovò facilmente la strada per la Mensa Aristotelica San Moderano, la Taverna di Licio da Correggio. La elesse a luogo ideale per stare un po’ in solitudine in quel turbinio di emozioni che era diventata la sua esistenza.

Danitheripper ordinò una birra ed appurò, non senza meraviglia, che l’esorcista non si faceva mancare nella sua cantina bevande di ottima qualità. Poggiando il boccale avvertì un moto di tristezza. Aprì entrambe le mani e restò a fissarle. Aveva stretto quelle di Tergesteo tra le sue ma non era per quello che adesso sentiva l’esigenza di esplorare i propri palmi. Gli aveva fatto una promessa, aveva accettato il fardello di un impegno.

Una ferita profonda solcava la sua mano destra lungo la linea della vita. “Ora siete legati da una fratellanza di sangue …” le aveva detto Pierluigi dopo aver inciso la sua carne e quella di Icemen e dopo aver mischiato il loro sangue. Un altro fratello di sangue … Si erano giurati lealtà da nemici. Tergesteo non poteva saperlo, solo Ippolita era presente in quel momento in cui lei aveva accettato quello strano patto. Ippolita aveva protestato con Pierluigi che Dani era una persona leale senza bisogno di strani rituali col Capitano delle Pantere, ma Danitheripper lo aveva lasciato fare, come se anche lei avesse bisogno di dire: quell’uomo mi odia ma io lo rispetto.

L’uno era un fratello, l’altro un nemico, aveva giurato al fratello che non lo avrebbe lasciato morire da solo, aveva giurato al nemico che avrebbe pugnato lealmente con lui o contro di lui. La lunga striscia rossa sembrava portare verso guerra e morte. "Sarò io a trovare te quando tu avrai bisogno di me" sussurrò pensando al fratello e al nemico.

C’erano stati momenti durante la lunga notte trascorsa a vegliare la follia di Tergesteo, in cui avrebbe voluto saper piangere … se solo avesse potuto. Eppure il suo cuore era di pietra ed i pensieri nel suo cervello si erano divincolati all’idea come serpenti aggrovigliati nel loro nido. “Se non ho un’anima perché allora sento su queste mani il peso dei miei vincoli?”

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Messaggio  Admin Gio Giu 03, 2010 4:49 am

La notte a Fornovo piovve.Anche il cielo piangeva su "Ananke"

Tergesteo non era rientrato nella sua dimora ma aveva vagato per la città come uno spettro , per ritrovare volti amici, per ritardare il dolore, per allontanare la sorte che incombeva.
"Ananke" , la personificazione del fato , madre dell'inevitabile.

Fato, inevitabile, ruota dell'esterno ritorno, il serpente.

Tergesteo era stordito. Guardava la gente con occhi spaesati e tristi e non scorgeva alcun volto che potesse raccogliere anche solo per poco il suo pensiero.
"Non comprendete? Non comprendete che tutto sta per compiersi? Non comprendete che non sono stato in grado di staccare la testa al serpente?"

Pochissimi danno credito al pazzo, nessuno al triste : essi portano fardelli pesanti, portano il peso di vivere, portano il seme del dubbio.
E alla gente i dubbi non piacciono. Essi minano le certezze e distruggono le illusioni.

Tergesteo entrò in una locanda. C'erano molti appartenenti ad Ananke.
E c'era anche lei.
Il momento era particolare. Lei stava prendendo commiato da quella che era stata la sua armata.
La fine del sogno.
"Il fato mi ha portato qui, al cospetto del serpente circolare" si disse il pazzo "Sembra che l'ineluttabile mi prepari ad una notte insonne".

Fine del discorso di commiato.
Tergesteo stava rintanato in un tavolo in fondo. Alcuni commiltoni gli si avvicinarono per rincuorarlo " Allegro, Barbarigo, dicono che si combatterà ancora : si prepara una grande campagna verso nord ... ci sarà da divertirsi non trovi?"
"Chi comanderà le armate?"
I militi accennarono ad un nome.
"Sono già morti ... ma ancora non lo sanno!" rispose il Folle.
La risposta lapidaria fece allontanare i commiltoni "... è sempre peggio...è impazzito del tutto..." fu quanto riuscì a captare nel rumore della locanda.

Lei gli si avvicinò "Fratello, non mi vorrai negare un brindisi?" disse porgendogli un bicchiere.
Tergesteo si ricordò di quando brindarono assieme al calore del fuoco di bivacco.
Ora sentiva freddo. Molto freddo.
"Hai già deciso di andare, vero sorella?"
"Sì, Tergesteo, ho deciso..."
"Capisco... dove?"
"Ha importanza per te?"
"No, non cambierebbe nulla... effettivamente , nulla"

Tergesteo si guardò il palmo della mano. Strinse il pugno fino a provocarsi di nuovo l'apertura della ferita.
"Fratello, perchè continui a farti del male?"

Tergesteo alzò il capo chino fino a quel momento.
"Sono un pazzo, no? Io non necessito di ragioni nè di giustificazioni..."
Riaprì la mano ferita, arrossata dal sangue fuoriuscito.
"Ti chiedo di rammentare quanto mi hai promesso, soltanto...rammenta"
"Lo farò ... vedi? Ho la stessa cicatrice : siamo legati da un vincolo di sangue..."
"Come ad un nemico o come ad un fratello?"

Danitheripper rise :" L'hai detto tu che non fà differenza, non ricordi più, soldato Barbarigo?"
"E' vero..."
Tergesteo si alzò e senza dire una parola uscì dalla locanda la pioggia forse gli sarebbe stata d'aiuto.
Si ritrovò in strada , incurante del proprio nome prima sussurrato e poi gridato da lei.

La pioggia lavava la ferita. Decise di tornare sulle mura.
Vide strisciare fuori da una crepa una serpe di colore scuro , che si dimenava e contorceva.
Tergesteo agì istintivamente e le lanciò contro il pugnale che rimbalzò a terra a pochissimo dalla testa del rettile, emanando fallimento e scintille.
La serpe si allontanò.
"Neanche stavolta sei riuscito a staccare la testa del serpente , vero Tergesteo?"
Il fato era compiuto. Ora era nelle mani e nella sua osservanza del patto.

Il sonno non veniva, la notte lunga, gli incubi viventi.
La pioggia era come un pianto che il cielo versava dopo averlo strappato dai propri mendri più oscuri.
Tergesteo sentì che il cielo poteva essergli compagno stanotte e decise di imitarlo.

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Messaggio  Admin Gio Giu 03, 2010 4:50 am

Danitheripper cercò di calmarsi e di distendere le membra contratte. Tante parole, troppe parole. Servivano fatti. Serviva prendere congedo da quel passato troppo ingombrante da soldato. Guardò le insegne di Ananke, l’ineluttabile … un’ala che spicca su di un cielo nero. Un’ala che ti fa illudere di poter volare ma che non ti permette di farlo, da sola, senza un’altra che l’accompagni. Ananke non ha mai avuto un volto, nulla si può chiedere a colei che non ascolta. Ananke è l’ineluttabile, l'impossibilità di trovare altre strade, il percepire la struttura della vita nella sua essenza. Ananke doveva sparire, la decisione era presa. Pioveva prima ancora che lei prendesse la sua decisione, pioveva ed era il primo di aprile … un giorno perfetto per morire o per uccidere.

Rimembrava le parole con cui aveva preso commiato dai suoi compagni d’arme … “Vado via perché è inevitabile … Vado via perché mi sono sentita tradita dalle persone che maggiormente stimavo … eppure la stima e l’affetto restano … tradire è inevitabile perché nasce da aspettative che partono dal tradito, non dal traditore”. Parlava ancora di se stessa come tradito lungi dal condannare il traditore.

Rideva ed il suo volto era rigato dalla pioggia mentre ripensava all’analisi razionale che aveva imbandito davanti a quegli sguardi perplessi e delusi. “Tradire deriva da trans e do, - aveva spiegato ai soldati - ovvero un atto di passaggio da un qualcosa a qualcosa di diverso, quindi una trasformazione. La vita non tradisce mai o, se preferite, tradisce sempre. A noi godere di questo divertimento o irrigidirci in finte necessità. Ecco, io me la voglio godere questa vita, voglio coglierne le sfumature”. E poi quell’ammissione, quello sfogo inascoltato quando ancora i fatti di Milano non rientravano nei suoi progetti “Le mie future decisioni mi porteranno a tradire anche voi tutti, che siete stati la mia famiglia, forse cambierò paese, probabilmente mi arruolerò altrove, ma se mai avremo la ventura di ucciderci a vicenda o di ritrovarci su posizioni del tutto divergenti, sappiate che per me voi siete e resterete sempre i miei fratelli e le mie sorelle”. Infine le sue ultime parole sibilline “Io non posso continuare a servire un Duca che dice tutto e il contrario di tutto”. Non sapeva nulla allora, era accecata da una rabbia sorda la cui origine solo in pochi conoscevano e comprendevano.

Aveva fatto a pezzi Ananke, non poteva intrattenersi a Fornovo, partire prima di pentirsi del passato. Il nuovo, l’ignoto l’attendevano, aveva bisogno di bere. In Taverna trovò Imprimatur, Never e Walden. Anche loro avevano fatto parte di Ananke e anche loro avevano diritto di sapere. “Ragazzi, brindiamo alla fine dell’armata bionda e alla mia partenza”. Imprimatur la guardò con comprensione. Era un soldato valoroso e si era dimostrata un’amica.

Poi come attratto dallo sgomento degli astanti si era presentato in Taverna Tergesteo. Il silenzio aveva accompagnato il suo percorso. Egli si sedette ad un tavolo in fondo al locale e Danitheripper vide divertita come quegli stessi che gli si erano avvicinati per un saluto o un commento erano stati lesti ad allontanarsi da lui. “Mai la parola giusta nel momento giusto – disse a Imprimatur – Questo è Tergesteo”.

Danitheripper non poté fare a meno di andargli incontro. "Fratello, non mi vorrai negare un brindisi?" gli disse porgendogli un bicchiere. Lui non perse tempo in preamboli “Hai già deciso di andare, vero sorella?"
"Sì, Tergesteo, ho deciso..."
"Capisco... dove?"
"Ha importanza per te?"
"No, non cambierebbe nulla... effettivamente , nulla"

Lo vide stringere il pugno e sanguinare.
"Fratello, perchè continui a farti del male?" Lui l’aveva guardata, due occhi scuri come la notte: "Sono un pazzo, no? Io non necessito di ragioni nè di giustificazioni..."

La sua mano grondava sangue e lui gliela indicò "Ti chiedo di rammentare quanto mi hai promesso, soltanto...rammenta"
"Lo farò ... vedi? Ho la stessa cicatrice : siamo legati da un vincolo di sangue..."

Una cicatrice contro una ferita aperta, un solo taglio e due promesse.
"Come ad un nemico o come ad un fratello?"
Danitheripper rise, egli dunque sapeva che andava disseminando promesse prima delle sue partenze: "L'hai detto tu che non fà differenza, non ricordi più, soldato Barbarigo?"
"E' vero..."

Tergesteo si alzò e andò verso l’uscita “Tergesteo … “ Provò a fermarlo, come se pronunziare il suo nome bastasse a farlo. Fu inutile. Guadagnò l’uscita e mentre lui le dava le spalle gridò il suo nome. Un tuono rispose in lontananza ma Tergesteo non si voltò. “Tu non sei pazzo Tergesteo sei solo …” gridò alle gocce che li accarezzavano. Non terminò la frase.

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Messaggio  Admin Gio Giu 03, 2010 4:51 am

L'alba.
Un timido sole tentava di emergere dal buio della notte e dal piombo delle nubi.

Tergesteo era ancora sulle mura.
Era fradicio d'acqua, seduta fra due merli , abbracciato alla spada, la testa reclinata sul piatto della lama.
Il contatto con l'acciaio gelido quasi gli bruciava la gota.
Eppure non aveva intenzione di muoversi.Non ancora.
Nel gelo di un alba livida cristallizzare nel ricordo le ultime immagini.

L'alba.
L'inizio di una storia già vissuta.Il morso del serpente dell'eterno ritorno.

L'alba.
Un rumore di cavalcatura da sotto le mura.Un destriero che si allontana.

Tergesteo alzò lo sguardo. Era lei.
Il cavallo era lanciato al galoppo. Avrebbe percorso la strada che spariva dietro la collina in pochissimo tempo.

Tergesteo osservava . Avrebbe voluto gridare.
Ma ormai il freddo lo aveva fatto prigioniero.
Si chiedeva se anche stavolta l'oblio gli sarebbe stato amico.
Se seppure diverso, tutto ritornasse uguale.
Si passò la mano ferita sul volto, ad asciugarsi il viso. O a ricordare a se stesso di una promessa.

L'alba.
Cavallo e cavaliere scomparvero dietro alla collina.
Al gelo s'accompagnò una sensazione di vuoto.

Era tempo di ricominciare. Nuovamente. Una tortura circolare.
Come una ruota che staccasse brandelli dall'animo del pazzo.

Si strinse alla propria spada e chiuse gli occhi.
Davanti agli occhi danzavano immagini e parole.

"L'eterno ritorno. Mi si apre un abisso nell'anima e un soffio freddo mi sfiora il volto livido. Ciò che sono stato e non sarò più eppure sarò di nuovo!
Ciò che ho avuto, e non riavrò!
Quando evoco quanto ho perduto la mia ani ma si raffredda e io mi sento esiliato dai cuori, solo nella notte di me stesso, piangendo come un mendicante il silenzio sbarrato di tutte le porte"

Tergesteo rimase ancora per qualche tempo seduto sulle mura.
Nel gelo di un alba livida voleva cristallizzare nel ricordo le ultime immagini.

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Messaggio  Admin Gio Giu 03, 2010 4:51 am

Partire e subito. Prima che una vocina dentro potesse farle cambiare idea. Ananke non c’era più, capitolo chiuso, basta con tutto … con l’esercito, le ronde, la caccia ai briganti. Adesso avrebbe potuto viaggiare senza dover compilare moduli, avrebbe potuto studiare di mattina, come tutte le persone normali, basta nottate rubate occasionalmente ai suoi doveri di soldato, basta legami, basta tutto.

Partenza o fuga … che differenza c’era? Fuggiva da quelle persone che la facevano stare bene, fuggiva dalla pace di un focolare, fuggiva anche da Tergesteo. Se quella notte lui fosse tornato indietro lei avrebbe finito quell’ultima frase “Tu non sei pazzo Tergesteo ... sei solo …” sì, solo, non pazzo ma solo. Avrebbe terminato dicendo “Vieni con me”. Non una domanda, non un invito, forse una supplica. Due solitudini che si uniscono non fanno una moltitudine, restano due solitudini. Si sentì stupida, e più si sentiva così, più le sue gambe colpivano Ronzinante per spingerlo al galoppo. Veloce verso l’ignoto.

Tutti nascondono vizi, problemi, a volte drammi ed esperienze sconvolgenti alle spalle, quel soldato non li celava, il suo passato era lì, davanti gli occhi di tutti. Danitheripper pensava ormai a lui con una nuova certezza: egli non era pazzo, egli era solo. La pazzia è un dolce rifugio per l’animo, il pazzo non può essere triste, gli altri lo additano, lo sfuggono, ma egli che impaccio può averne? Il pazzo è beato poiché non sa di godere dei favori della follia. Tergesteo era consapevole della sua follia per cui egli non poteva essere pazzo. Ricordava la storia di un principe danese … questi aveva la stessa follia di Tergesteo ... chiassosa, iraconda, offensiva, teatrale e indecifrabile. “Sono pazzo solo fra tramontana e maestrale - egli diceva - Quando soffia da scirocco distinguo un falco da un falcetto”.

Un’ossessione … dopo quell’atroce notte passata a vegliare il suo sonno inquieto. “Aspettami … oppure dimenticami”. Per lei che aveva sempre fuggito gli altri quel soldato era uno strano enigma di cui cercava soluzioni. “Non sono affari tuoi” si ripeteva ma poi la follia giungeva fino a lei e sentiva nella testa le parole di un’altra donna “… con uno sguardo di così pietosa espressione come s’egli fosse stato liberato dall’inferno per parlare di orrori”. Chi era costei che le descriveva ciò che lei aveva veduto?

La solitudine è un macigno che non tutti sono in grado di reggere, lui la recava con sé preceduta dal suo urlo straziante. Vedeva oltre ed era solo. Anche lei era sola, ma la sua solitudine le era sembrata un peso meno intollerabile dopo aver sfiorato quella di Tergesteo.

E adesso fuggiva, cavalcava come indemoniata lontano da quello che era stata. Se fosse rimasta avrebbe cercato di guarire Tergesteo e avrebbe finito col fargli del male. Lei non era un medico, era un macellaio, padroneggiava la spada, ma non era brava con le persone. “Hai la grazia di una libellula e la delicatezza di un elefante - le diceva il suo maestro. Pensa a combattere Dani, e sii brava, le relazioni sociali non fanno per te”.

Fornovo si allontanava alle sue spalle, Danitheripper non si voltò mai a guardare. Parole, voci, canti si sovrapponevano, giungendo da chissà dove, e formavano una nenia familiare.

"Pure, se farò parola, sprofonderò senza un suono
in abissi privi di senso. Imparerò a soffrire
senza dire qualcosa di ironico o di buffo
sulla sofferenza? Non sospettavo che la via della verità
fosse una via di silenzio dove la conversazione familiare
è l’agguato di un ladro e persino la buona musica
di pessimo gusto; e tu, naturalmente, non me l’avevi detto mai".

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Messaggio  Admin Gio Giu 03, 2010 4:52 am

Tiepido giorno di primavera.
Tergesteo ritornò al suo campo di grano da tempo incolto.
Era tempo di prepararsi alla messe.

Strappò le erbacce che soffocavano il terreno.
Rivoltò le zolle.
La terra umida ancora delle abbondanti piogge si trasformava in fango.
Il fango.
Giaciglio del soldato.
Quel terreno che ti trascina con sè verso il cuore della terra o verso la fossa lo conobbe duranti i pattugliamenti di "Gemina Obscura".
Il fango rendeva il cammino pesante.

Si guardò attorno.
Silenzio.
Solo stormi di corvi che gracchiavano volteggiando sopra la sua testa.

Sorrise. Erano più gradevoli di altri corvi che gracchiavano in continuazioni e si cibavano di carcasse.
La carcassa di un leone che avrebbe potuto spiccare un balzo ma che invece è morto avvelenato. Ed essi si nutrivano anche del veleno.
E lo diffondevano, pure.

Il silenzio d'intorno lo inquietava.
Si sedette nel fango.Stordito.
Le tempie gli pulsavano.

Era il preludio all'orrore.

Si accoccolò a terrà. La testa tra le mani. Attendeva l'urto di una forza invisibile.
Che non si fece attendere.

Vedeva un campo di grano biondeggiare smosso dal vento.
E null'altro attorno. Solo un movimento di messi lento e sensuale.
E una voce. Quella voce.

"“O solitudine! Tu solitudine, mia patria. Troppo a lungo ho vissuto selvaggio in paese selvaggio, da non tornare con lacrime di gioia alla tua dimora!
Ora minacciami solo con il dito, come minacciano le madri, sorridimi, come sorridono le madri, dimmi dunque: 'E chi era colui che un giorno fuggì via da me come un vento di tempesta?
...che andandosene esclamò: troppo a lungo ho vissuto con la solitudine, e così ho disimparato a tacere! E ora - l'hai tu imparato?

O Tergesteo, io so tutto: e che tu nella moltitudine ti sentivi abbandonato, più solo che con me!

Altra cosa è l'abbandono, altra la solitudine: questo l'hai imparato! E che tra gli uomini tu sarai sempre un selvaggio e un estraneo: selvaggio ed estraneo anche se essi ti amassero.
Ma qui invece tu sei nella tua dimora e in casa; qui tu puoi dire tutto liberamente e sfogarti fino in fondo, qui non c'è da vergognarsi dei sentimenti intimi e tenaci.
Qui tutte le cose vengono carezzevoli al tuo labbro e ti lusingano: poiché vogliono cavalcare su questo dorso. Tu cavalchi qui verso ogni verità.

Ma altra cosa è l'abbandono. Ti ricordi ancora, o Tergesteo?
Rammenti?"

O Solitudine! Tu solitudine, mia patria! Come mi parla beata e carezzevole la tua voce!
Noi non ci facciamo domande l'un l'altro, noi andiamo apertamente insieme attraverso porte aperte.

Qui si aprono tutte le parole e tutti gli scrigni delle parole di vita: qui ogni vita vuoi divenire parola, ogni divenire vuole imparare da me a parlare.
Ma laggiù, tra gli uomini , ogni parola è vana! Là, la miglior saggezza è dimenticare e passar oltre: questo ho appreso ora!

O beato silenzio intorno a me! O puri profumi a me d'intorno! O come questo silenzio respira puro dal profondo del petto! Come sembra stare in ascolto, questo beato silenzio!
Laggiù, invece, tutti parlano, e nessuno ascolta. Si gridi pure la saggezza con le campane: i mercanti del mercato vinceranno il loro buono con il tintinnio delle monete!
Tutti parlano, nessuno sa più comprendere. Tutto cade nell'acqua, ma niente cade più nelle profonde fontane.
Tutti parlano e nulla giunge più a buon fine. Tutti gracchiano, ma chi vorrà sedere tranquillo sul proprio nido a covare le uova?
Tutti parlano, tutto è svelato. E ciò che una volta era chiamato segreto e mistero delle anime profonde, oggi appartiene ai trombettieri di piazza e ad altri farfalloni.

O umanità, strana cosa! O strepito per le vie oscure! Ora tu stai di nuovo dietro di me: il mio più grande pericolo sta alle mie spalle!
Si disimpara l'uomo, quando si vive tra gli uomini: in ogni uomo c'è troppa facciata; a che servono occhi di lunga brama, di lunga portata?
E quando mi disconoscevano, io, folle, ero con loro più indulgente che con me: ero abituato alla durezza contro me stesso e spesso facevo vendetta su me stesso di questa indulgenza.

Punzecchiato dalle mosche velenose e corroso, come una pietra, dalle troppe gocce di malvagità, sedevo tra di loro e dicevo a me stesso: 'Tutto ciò che è piccolo è innocente per la sua piccineria!'
Particolarmente in coloro che si dicono 'buoni', ho trovato le mosche più velenose: pungono in tutta innocenza, mentono in tutta innocenza; come potrebbero essere giusti verso di me!

O Solitudine! Tu solitudine, mia patria! "

Si rprese poco dopo. I corvi erano scesi e gli stavano attorno.
Trascinandosi gettò loro una manciata di terra.
Le bestie si levarono in volo gracchiando e irridendo Tergesteo
"Via da me bestie dell'Ade ... sono ancora un boccone troppo duro per i vostri becchi!" gridò.

Solo un corvo restava fermo a fissarlo.
Occhi liquidi e neri come la notte, profondi come l'abisso.
Tergesteo lo fissava a sua volta.

"Chiediti se hai appena udito la verità o una pia illusione..."sembrava esclamare l'animale...

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Messaggio  Admin Gio Giu 03, 2010 4:53 am

Quel mattino un uomo dal volto austero si presentò a casa di Braken.
Fu ricevuto dal padrone di casa che con le braccia incrociate sul petto lo fissò a lungo prima di rivolgergli la parola:
- "Lei è un assassino?" disse finalmente Braken a bassa voce
- "Sono un soldato." rispose l'uomo leggermente stupito
- "Ne l'uno ne l'altro lei è un galoppino mandato dal droghiere ad incassare i conti sopsesi."

Con un sospiro il Colonnello Braken si sprofondò in una poltrona senza rivolgere all'ospite l'invito a fare altrettanto.
- "Bene Messer Galoppino. Dimmi cosa vuoi e chi ti manda."
-"Vengo per incarico del tribunale per rendervi noto che queste accuse sono state formulate nei vostri confronti..."

Con un balzo Braken fu addosso all'uomo e gli strappò dalle mani il documento sigillato.
- "TRIBUNALE??????? ACCUSE??????? PROCESSO???????? MA QUALE PAZZIA E' MAI QUESTA???????"
furibondo si diresse verso il camino pronto a gettare nel fuoco quelle carte, ma improvvisamente cambiò idea e con rapidi passi fu di nuovo faccia a faccia con il suo ospite che afferrò per il bavero.
-PURE TU GALOPPINO! PURE TU VERO COMPRENDI LA FOLLIA DI TUTTO CIO'? - poi calmatosi, proseguì a bassa voce, parlando più a se stesso che ad altri - "Avremmo potuto risolvere tutto questo come delle persone civili. Con le nostre spade. Avremmo potuto irrorare col nostro sangue i campi del biondo grano sotto lo splendente sole di primavera.... sarebbe stato bello e nobile e invece il tribunale! Il processo..... fredde aule di tribunale.... umidità... reumatismi....che schifezza."

Improvvisamente lasciò andare il malcapitato funzionario che perse l'equilibrio e cadde.
-Su, su Galoppino, non fare così. Non è mica colpa tua diamine. Anzi ti chiedo scusa se mi sono comportato maleducatamente. Tu sei solo un poveraccio che non c'entra niente. Dai dai " - sorrise finalmente con fare amichevole - "Ciapa la cadregha e setes *"
ma il funzionario sempre più basito non mosse muscolo.
-"Oh Signur"- commentò Braken - "L'è restà cumpagn de quel de la mascherpa**..... Dai Galoppa ho detto di prendere la sedia e accomodarti. Tu sei del ducato di Milano vero? Vedo vedo.....
e sempre più sconsolato il Colonnello versò in un generoso boccale del vino per lo sventurato funzionario galoppino.........



*Prendi la sedia e siediti.
** E' rimasto di stucco come quello del mascarpone.

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Messaggio  Admin Gio Giu 03, 2010 4:54 am

Guastalla, l’alba di un nuovo giorno. Sapere cosa si lascia e accettare per buono ciò che si va a trovare. Con questa disposizione d’animo Danitheripper si affacciò nel nuovo mondo. Un lago, come a Piacenza, il desiderio di nuotare, di non dimenticare le proprie origini nonostante la fuga. Ronzinante sembrò indovinare i suoi desideri e scelse da solo la direzione. Le bionde messi trafitte dal sole nascente salutavano la nuova arrivata al suo passaggio. La pioggia era cessata e con essa il sollievo che le aveva procurato subissandola. Quell’inattesa visione di acque scarlatte aveva placato i suoi sensi inquieti.

Svestiti i suoi panni Danitheripper lasciò che le gelide acque del lago annegassero i suoi pensieri. Mille colori di vita e di morte, di veglia e di sonno concessero sazio al suo corpo spogliato che si muoveva sicuro sotto la superficie immota. Fu allora che una voce di donna tornò:


“Oh, qual nobile mente è qui sconvolta!
Occhio di cortigiano,
lingua di dotto, spada di soldato;
la speranza e la rosa del giardino
del nostro regno, specchio della moda,
modello d'eleganza,
ammirazione del genere umano,
tutto, e per tutto, in lui così svanito!...
Ed io, la più infelice e derelitta
delle donne, ch'ho assaporato il miele
degli armoniosi voti del suo cuore,
debbo mirare adesso, desolata,
questo sublime, nobile intelletto
risuonare d'un suono fesso, stridulo,
come una bella campana stonata;
l'ineguagliata sua forma, e l'aspetto
fiorente di bellezza giovanile
guaste da questa specie di delirio!...
Me misera, che ho visto quel che ho visto,
e vedo quel che seguito a vedere!”


Nell’oblio delle acque Danitheripper lasciava che la follia s’impadronisse di lei e cedeva a quella voce sperando che l’aiutasse ad accettare senza domandare ed a curare senza guarire.

“Ho come l’impressione che egli desideri che io lo fermi ma non so interpretare i suoi sogni” le diceva ondeggiando e la voce tornava raccontando la sua storia e svelando un destino:

“ … un mattino d'aprile, un bel cavaliere pallido,
Un povero pazzo, si sedette muto ai tuoi ginocchi.
Cielo! Amore! Libertà! Quale sogno, o povera Folle!
Ti scioglievi per lui come la neve al fuoco:
Le tue grandi visioni ti strozzavan le parole
E il terribile Infinito sconvolse il tuo sguardo azzurro!”

Ascoltava e nuotava nel silenzio dell’alba, finché non ne ebbe abbastanza di quelle parole e di quella pace.

Era partita dal suo Ducato dopo essere stata certa che né i suoi amici né i suoi nemici avessero bisogno di lei ma il sapere i suoi complici sotto processo negava alla libertà lo schietto piacere dell’oblio. Non poteva restare indifferente di fronte a quelle leggi così carenti che le avevano negato di pagare il fio di un misfatto voluto, cercato e organizzato. Avrebbe scortato l’amico cui la legava un antica parentela poi sarebbe tornata a reclamare il suo.

Pensava di scrivere al Prefetto, iniziava una lettera, appallottolava il foglio e con un rapido movimento del polso centrava l’apertura del caminetto e lo spediva a far compagnia alle altre lettere che non avrebbe spedito mai. Alla fine il risultato la soddisfò.

“Egregio Prefetto Mutuuu,
sono colpevole, colpevole di un delitto che non ha causato vittime eppure colpevole perché ho osato, perché ho creduto che gli uomini possono cambiare ma che per farlo hanno bisogno di essere destati. Non ho ucciso nessuno, ho fatto di più: ho ucciso il Certo. Sono colpevole perché ho tramato, non contro le Istituzioni ma contro gli uomini che facevano scempio di tali Istituzioni. Ho tramato persino contro Voi, che accettavate in silenzio il declino del Nostro Ducato.

Il potere, quando appresta il peggio di sé, non dice più Io, ma si fa impersonale. Come sempre, nel peggio, niente di personale. Adesso essere Duca non basterà più a farsi creder taumaturghi. Il Duca uccise un Duca che uccise un Duca … un patetico sogno d’immunità. Non io lo dico ma un uomo che mi sovrasta per genio e ardore che “governare è far credere” e che "li uomini sdimenticano più presto la morte del padre che la perdita del patrimonio” orbene noi abbiamo ucciso idealmente un padre ma non abbiamo toccato un solo ducato, non per questo potete dimenticare il mio ruolo e le mie colpe. Vedo il Vostro spirito, sento il vigore del Vostro spirito e Vi ricordo che Voi mi siete in debito. Vi ho restituito il senso del Vostro ruolo, in cambio non chiedo che un processo. Giudicatemi come io ho giudicato Voi ed i Vostri colleghi. Non esiste il mio reato? Createlo! Mi sono armata contro la giustizia, io sono rea di aver istigato il delitto di cui i miei compagni Porcelli Mannari sono accusati, fate in modo che l’istigazione a delinquere sia codificata e applicata e fate che io renda conto al mio Ducato di averlo messo in pericolo. Usatemi la grazia delle aggravanti poiché io sono colpevole di associazione a delinquere di stampo mannaro.

In fede, Lady Dani Ragnarson Epelfing”

Danitheripper affidò la lettera a un viandante in partenza e sperò che Mutuuu fosse in grado di dar seguito alle sue richieste. Troppi reati restano impuniti perché non esistono ...

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Messaggio  Admin Gio Giu 03, 2010 4:54 am

Tergesteo si dibatteva nella propria stanza come un animale feroce in gabbia.

Il corvo. I suoi occhi. Quella domanda.

Si trascinava nella stanza buia, illuminata sola dalla luce vespertina che trafilava dalle persiane.
"E' là fuori. Attende. Io lo so . Lo percepisco."

Spiava dalla finestra il proprio delirio. Madido di sudore, cercava di dare un senso a quella visione.
L'aria sembrava calda come in un forno.
Si sarebbe detto che gli Inferi fossero venuti a reclamarlo.

"Fornovo. Sono qui da qualche giorno e mi sta già lasciando andare.
Darei chissà che cosa per ritornare a combattere.
Assurdo. Quando ero nel fango volevo tornare a casa. Ora voglio stringere di nuovo la spada tra le mani … e cacciarla in qualche gola!".

Sentiva la pelle bruciare , i polmoni che si gonfiavano e sgonfiavano come un mantice che alimenti il fuoco.

Ritornare a roteare una spada per morire con un sorriso sulle labbra e tener fede al patto.
L'attesa lo stava uccidendo.

Tergesteo si passava nervosamente la mano ferita sul volto.

Il cuore gli pulsava come volesse uscirgli dal petto, facendogli vibrare il collo.

Osservava un ragno scendere dalla parete

Chiuse gli occhi e vide se stesso avvolto in una ragnatela. Un aracnide immondo lo fissava , la bava alla bocca, le zampe rapaci.

“Ecco, questa è la spelonca della tarantola! Vuoi proprio vederla? Qui è sospesa la sua tela: toccala, che tremi.
Eccola venire di buona voglia: benvenuta, tarantola! Nero hai sul dorso il tuo triangolo e contrassegno, e so anche quel che hai nell’anima.
Vendetta hai nell’anima: dove mordi cresce una crosta nera; con la vendetta il tuo veleno fa turbinare l’anima!
Così parlo a voi con una similitudine, voi che fate turbinare le anime, voi predicatori dellla virtù!
Tarantole siete per me e nascostamente vendicativi! Ma si portino alla luce i vostri nascondigli!
Perciò do strappi alla vostra tela, perché la vostra rabbia vi attiri fuori dalla vostra spelonca di menzogne, e la vostra vendetta salti fuori dietro la vostra parola "giustizia". Infatti che l’uomo sia redento dalla vendetta è per me il ponte verso la più alta speranza e un arcobaleno dopo lunghi temporali.

Ma ben altro vogliono le tarantole. "Proprio questo significhi per noi giustizia: che il mondo si riempia delle tempeste della nostra vendetta", così docono fra loro.
"Noi vogliamo compiere vendetta e oltraggio contro tutti coloro che non sono come noi", così promettono a sé stessi i cuori di tarantola.
"E volontà di giustizia deve proprio diventare d'ora in poi il nome della virtù, e noi vogliamo levare le nostre grida contro tutto ciò che ha potenza!".

Voi predicatori della virtù, così la tirannica follia dell'impotenza fuoriesce da voi, chiedendo a gran voce giustizia : le vostre più segrete voglie di tirannide si mascherano così in parole di virtù!

Essi assomigliano agli entusiasti: ma non è il cuore a entusiasmarli, bensì la vendetta. E quando diventano fini e freddi non è lo spirito, bensì l'invidia a farli diventare fini e freddi.

La loro gelosia li porta anche sul sentiero dei pensatori e questo è il segno della loro gelosia, vanno sempre troppo lontano così che la loro stanchezza deve infine mettersi a dormire sulla neve.
Da ciascuno dei loro lamenti risuona la vendetta, in ciascuna delle loro lodi vi è un intento malvagio, e beatitudine sembra loro l'essere giudici.

Ma io vi consiglio, folli: diffidate di tutti coloro in cui è forte l'istinto di punire!
E' gente di mala specie e origine, dai loro volti guarda il carnefice segugio.

Diffidate di tutti coloro che parlano molto della loro giustizia. Davvero alle loro anime non manca solo il miele.
E se essi chiamano sé stessi buoni e giusti, non dimenticate che a loro, per essere farisei, non manca niente altro che la potenza!”

Vide nella ragnatela i suoi compagni di lotta. Vide lei prigioniera. Vide approssimarsi la tarantola immonda.
La ragnatela lo serrava.
Nulla poteva fare per portare ausilio a se stesso e ai suoi compagni.
La vide immobile , derubata del suo spirito guerriero.

Si accorse di essere disteso a terra mentre gridava come solo un pazzo può gridare.

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Messaggio  Admin Gio Giu 03, 2010 5:38 am

Mutuuu era nel suo ufficio.. Lavorava sempre solo, ligio ad una legge che lo aveva reso schiavo, una macchina.

Il tuo destino è questo, si disse, applichi le leggi alla lettera senza ragionarci, sei una macchina giuridica, non un uomo.

E se le leggi ti ordinassero di uccidere tutti quelli che si ubriacano in taverna che faresti? La risposta in cuor suo era scontata: li avrebbe mandati tutti a morte.

Non un uomo, ma una macchina, ecco cos'era. Sulla legge era ferreo, ogni parola era un vangelo, ogni singolo articolo poteva modificarne il significato. Questa idea gli nacque in testa dai tempi cui faceva il viceprefetto: IMPARZIALITA' si era ripetuto nelle notti, La legge è tutto, te non sei niente. Vale solo ciò che c'è scritto, le tue considerazioni puoi lasciarle ad altri. NON HAI voce in capitolo, non puoi permetterti di pensare: tutto è già scritto nella legge: devi solo applicarla senza fiatare.

Uno schiavo, appunto, una macchina. Mai a nessuno era venuto in mente che potesse avere una sua idea, mai. Lo vedevano tutti in modo ostile, perchè le macchine non hanno anima. Non c'è spazio per le opinioni personali nella legge. La legge è scritta, non ha bisogno di interpretazioni o opinioni. Se vai contro a ciò che c'è scritto, sei condannato.

Coloro che vaneggiavano uno sbaglio di accusa a causa del buon senso lo facevano sorridere. Niente di più sbagliato: il buon senso non è legge, e la legge comanda. Puoi accusarmi al massimo di non avere buon senso, ma la legge canta: se hai sbagliato paghi, se l'hai infranta, paghi. Il buon senso non ha valore giuridico, non può annullare una sentenza.

Lui, macchina, non aveva buon senso.. Lo lasciava ad altri. Per lui solo le leggi scritte avevano valore, il resto, le chiacchiere, le idee, le lasciava agli altri, non gli interessavano.

Si pensava: dammi una legge che mi obblighi a seguire la norma specifica invece di quella generale e io ne sarò ligio. Ma attualmente questa non esiste, e dunque io non sono obbligato a seguirla. Era stufo sempre delle chiacchiere. Per lui, macchina, era tutto chiaro. Aggiungi un comando alla macchina ed essa te lo seguirà, lascia il tutto sul vago, sul non scritto, ed essa deciderà come meglio crede, senza aver modo di impugnare una eventuale decisione.. e sorrideva quando le persone si arrabbiavano per la decisione presa: leva la discrezione, nella legge non ci deve essere. Tutto è regolato su norme. Se non ci sono norme non puoi prendertela per la decisione.

Si passò una mano tra i capelli, nervoso. In quel momento qualcuno bussò alla porta.

Avanti!

Entrò un messo con una lettera in mano. La posò sulla sua scrivania e se ne andò senza aspettare un cenno. Chiuse la porta dietro di sè.

Di nuovo solo. Guardò la lettera, l'aprì. La svolse e la lesse.

Rimase con lo sguardo a mezz'aria a pensare. Lui che si era fidato di Ananke e di tutti i cittadini che poi hanno assaltato il castello. Ne era stato fregato come un pollo, inutile negarlo. Tutte le sue certezze sulla capitale erano crollate: l'emorragia veniva dall'interno, inaspettata come una pugnalata alle spalle.

Vigliacchi! Si disse. Che azione onorevole, da bravi soldati avete svolto.. Siete andati contro il vostro ducato, quello cui avete giurato fedeltà: non c'è onore, non c'è gloria per i traditori della patria!

Molto più onore a Sciamano. Per lo meno lui c'ha messo la faccia, ha usato l'astuzia, ha fregato tutti ma alla luce del sole. Voi vi siete nascosti dietro un sotterfugio per poi pugnalare alle spalle. I nemici si combattono a viso aperto, nessun onore per gli assassini alle spalle!

Avete tradito chi credeva in voi, chi in voi riponeva fiducia. Ho ribrezzo verso queste persone: la ferita brucia se viene da un amico caro, da uno in cui riponevi fiducia.

Poi sinceramente siete ridicoli ad accampare scuse come quelle del malgoverno. QUANTI DI VOI, QUANTI hanno aiutato il ducato a migliorare? Hanno fatto critiche costruttive?

L'apoteosi è stata Williamwallace: membro regolare che sedeva in consiglio, riesco a stento a ricordare 3-4 messaggi da lui postati. Il resto.. silenzio.

E' facile prendere un castello.. è facile usare il paravento del malgoverno quando NESSUNO DI VOI HA MAI FATTO NULLA PER MIGLIORARE!

Era rovente dalla rabbia.

Prese una pergamena e incominciò a scrivere.



Buona sera Dama,

Innanzitutto come saprà adesso non sono prefetto in quanto è in atto l'elezione del Duca. Sono il prefetto in pectore solo in quanto lo ero nella passata legislatura, ma adesso, non essendo completamente prefetto preferisco non svolgere i compiti di quella carica, ma rimando tutto al prossimo prefetto.

Detto questo,

Io non tratto con vigliacchi pugnalatori alle spalle, scavalcatori della volontà popolare.
Se c'è una persona che vi odia sono io. Condanno il modo, per me il fine NON GIUSTIFICA MAI i mezzi. Non c'è onore per voi, solo compassione da parte mia, per dei soldati che si sono rivoltati dall'interno verso il Ducato cui hanno giurato fedeltà, ed oltretutto prendendolo con uno stupido sotterfugio. Io combatto solo con chi mi sfida a viso aperto, non con chi assale alle spalle.

Siete proprio la bassezza più grande dei soldati: il vero soldato sa anche cos'è l'onore, voi l'avete perso.

Tornando alla vostra richiesta:

Datemi una prova che avete organizzato la ribellione, perchè sa bene che io non accuso senza prove.

I miei ossequi Dama,
Mutuuu

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Messaggio  Admin Gio Giu 03, 2010 5:40 am

Massa. Un’altra alba, un’altra città, un altro lago, un altro tuffo.

Danitheripper si era svegliata di soprassalto mentre si trovava nel nodo che precedeva la sua nuova meta. Aveva preso sonno appoggiata ad un albero, a debita distanza dai resti del frugale pasto che aveva condiviso con Iceboy84 e Magua. Poi, come se dormire non fosse concesso a chi ha aperto la mente alla follia, una sensazione di calore alla gola l’aveva fatta destare urlando. Un ragno si era fatto spazio nella sua bocca e lei lo aveva inavvertitamente ingoiato. Il filo della ragnatela pendeva ancora sotto il suo labbro, lo staccò con noncuranza e si rasserenò pensando a quanto fosse stata stupida ad urlare per un ragnetto.

L’altrove era venuta a trovarla ma lei lo aveva divorato, adesso portava con sé tutte le tristezze della vita del ragno.

Lasciò che i suoi compagni di viaggio dormissero e raggiunse il lago con Ronzinante. Erano così stanchi che neppure il suo urlo li aveva raggiunti, al loro risveglio l’avrebbero trovata lì.

Mentre raggiungeva il lago una giovane donna le si parò innanzi fermando la placida marcia di Ronzinante: “Rispetta i portatori di saggezza, i guardiani della sacra fiamma della conoscenza. – Le disse con una voce presa in prestito da un sogno. - Egli scelse il silenzio ma usa il potere della sua anima solo quando è necessario, tu non comprendi e credi che parli con te. Ciò che avviene nella sua mente, avviene anche nella realtà, è questa la risposta, adesso lascialo nella sua pace. Gli imbecilli ridono di lui … proprio loro così deboli, così stupidamente normali. A volte nella vita bisogna lasciarsi, per poi ritrovarsi più felici e più ricchi di spirito”.

Danitheripper l'ascoltò senza interrompere e quando la vide allontanarsi non la seguì. Aveva un bagno da fare e non avrebbe ritardato un minuto di più. Nuotando avrebbe finito con l’obliare stavolta, ne era certa, e bramava ardentemente il contatto con le gelide acque.
Quando la soddisfazione di un’alba ben spesa si quietò tornò all’accampamento e, come previsto, vi trovò i due ragazzi ancora dormienti. Mentre s’incamminavano finalmente verso la città furono affiancati da un messaggero “Dama Epelfing – le si rivolse – ho una missiva per Voi”.

Danitheripper lesse la lettera di Mutuuu sull’onda del buonumore che ancora l’accompagnava e non appena raggiunse la locanda che li avrebbe ospitati per qualche ora radunò le idee e rispose.



Messere Mutuuu,

le Vostre parole mi confermano quanto ancora turbato sia il Vostro animo, eppure se alzaste lo sguardo e guardaste oltre le finestre della vostra stanza Vi stupireste di quello che c’è dietro il nostro gesto e sapreste che quella che disprezzate è una risorsa forte e compatta, utile al Ducato, non nociva. L'amicizia fra soldati è umana e autentica, la fedeltà alla propria patria totalizzante. Guardate quei soldati che adesso denigrate, l’abnegazione di costoro ha reso le nostre strade sicure. Nessuno di noi è particolarmente ricco o erudito, vi basta poco per appurarlo, ed il motivo è semplice: perché abbiamo anteposto la sicurezza del Ducato alle nostre ambizioni personali.

Colui che Voi chiamavate Duca neppure si è preso la briga di ritardare per un paio di giorni la seconda laurea quando gli fu chiesto dal Capitano Tancredi, ed in quell'occasione negò di fornire punti esercito fondamentali alla nascita dell’Armata Ducale (e non mia personale) Ananke, ma questa informazione il Vostro Duca non la diffonde. Egli era un soldato come noi, ma mentre noi perlustravamo le strade egli aveva tutto il tempo di studiare.

Io non pretendo che voi comprendiate le ragioni del nostro gesto. E’ comodo chiamarci traditori ma noi abbiamo scelto di agire mentre gli altri poltrivano.

Quando Tancredi come Capitano si è appellato a noi perché sussisteva un pericolo per i nostri confini abbiamo preferito restituire il Castello a coloro che lo reclamavano, Voi sapete bene che potevamo difendere ad oltranza ma non siamo incoscienti: quando abbiamo appurato che venivano radunate genti nella Capitale, togliendole dalle loro attività ed indebolendo le difese, abbiamo scelto di non procedere con l’occupazione del Castello. Questo non è un comportamento da traditori.

Perché colui che abbiamo deposto non tentava l’assalto non appena giunto? Ve lo spiego io: per orgoglio! Perché se avesse fallito non avrebbe potuto coniare stupide medagliette celebrative. Questo incosciente ha tolto forza ai nostri confini pur di riprendersi il suo giocattolo, ma Voi costui rispettavate come Duca. E’ mai possibile che solamente noi ci fossimo resi conto della debolezza del nostro Ducato? Voi continuate a guardarci come nemici, ma se così fosse in questo momento avreste un Ducato da ricostruire anche economicamente. La nostra impresa ha confermato quanto noi paventavamo, ossia l’inedia delle Istituzioni che ci governano.

Colui che Voi chiamavate Duca aveva già organizzato la sua fuga dopo il nostro assalto al Castello, ma anche questo non traspare dalle sue parole, basta però passare da Genova, nelle loro Taverne, e appurare che ciò che io Vi dico sia vero. Se non fosse stato per numerose spalle che lo hanno sorretto e rimesso in una poltrona vagamente somigliante ad un trono, lui sarebbe stato lontano ben prima di quel 23 marzo che ha fatto incidere sulle medagliette.

Eppure Voi avete più rispetto per lui che per dei soldati che hanno personalmente testato le falle della propria difesa. Noi non siamo vili, come potete pretendere che il nostro gesto fosse fatto alla luce del sole? Dovevamo fare le partecipazioni? Ebbene: le abbiamo fatte! Abbiamo disseminato indizi sul nostro gesto che nessuno di voi ha colto. Io stessa mi sono sempre nominata Dama delle Idi di Marzo, ancor prima di scegliere quella come data per il nostro atto. Saremmo stati i primi ad esser lieti di trovare un Castello inarrivabile e ben difeso, ma così non era. Col tempo qualcuno poteva scoprirlo a nostre spese, ma così non avverrà.

Quelle che voi definite pugnalate sono carezze rispetto a quello che altri hanno subito a causa di veri criminali. Fate chiarezza nella vostra mente turbata ed interrogatevi sull’immenso potere che abbiamo avuto in mano e che non abbiamo usato. Mai nessuno prima di noi ha avuto un Ducato alla sua mercé. Ci ritiene davvero così stupidi da non conoscere tutte le possibilità che questo comportava? Per questo le chiedo di guardare oltre e di comprendere che se avessimo voluto tradire il nostro Ducato lo avremmo lasciato in ginocchio e ne avevamo tutte le possibilità.

Il Vostro odio e la Vostra compassione generano in me orgoglio, preferisco chi come Voi mi è ostile ai falsi amici, ma non fraintendetemi, la Vostra alzata di testa dell’ultima ora non Vi rende migliore ai miei occhi visto che reputo anche Voi colpevole di aver dimenticato l’importanza del nostro Ducato.

Volete le prove della mia colpevolezza? Avete le mie parole, avete le dichiarazioni del portavoce dei Porcelli Mannari che indicava Ananke come esercito a difesa e tutela degli assaltatori.

Vogliate credermi, io comprendo la vostra stizza, comprendo la Vostra ricerca di Giustizia e non chiedo altro che poter essere processata secondo i canoni di ciò che Voi chiamate Giusto e che, anche se non corrisponde ai dettami della mia morale, ha tutto il mio rispetto.

Non siete Prefetto perché nessuno di Voi ha ancora avuto il coraggio di ammettere la sconfitta. Un partito ha vinto queste elezioni, per quanto sia quello più pacifista e contrario al nostro intendere la politica abbiamo chiesto al nostro rappresentante in Consiglio di votare per il suo esponente candidato a Duca. Questa, Signore, è la Democrazia su cui Voi pretendete di darci lezioni ma che nessuno di Voi rispetta quando è il momento più opportuno per farlo. La pioggia bagna il giusto e l’ingiusto ma soprattutto il giusto perché l’ingiusto ha l’ombrello del giusto …

Ossequi, Lady Dani Ragnarson Epelfing

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Messaggio  Admin Gio Giu 03, 2010 5:41 am

Primavera della natura , inverno degli spiriti.

Tergesteo tentava di ritornare senza fortuna alla sua vita normale ma era evidente che le oscure forze che lo imprigionavano esigevano ulteriori sacrifici.

Per Tergesteo, la primavera nel suo splendore portava con sé già la corruzione della fine. Era un segnale dell'ineluttabile.

Il fornovese si trascinava come uno spettro dai campi alla propria casa.
Entrava raramente in taverna, se non quando era sicuro di poter dissimulare a dovere.

Come una bestia selvatica, fuggiva gli uomini.

In questo stato d'animo, ebbe l'ennesimo delirio.
Ma stavolta era diverso.
Non lo scosse l'orrore, non la paura.
Ma una sentimento ben più pericoloso : la compassione.

Vide venire verso di sé un leone. O meglio quello che sarebbe dovuto essere un leone.
La povera bestia arrancava con il capo reclinato in avanti, scarna e ferita, tormentata da nugoli di insetti.
Si trascinò fino ai piedi di Tergesteo e raccolse le forze per alzare la testa.
Aveva gli occhi tristi e spenti.
Tergesteo impietosito affondò la mano nella criniera fulva.

La bestia si accoccolò a terra.
Si odeva solo l'ansimare dell'animale.

I fianchi della bestia erano disseminati da ferite nere. Era possibile contarne le costole una ad una.

Che strazio! Che pietà! Il Re degli animali ridotto così!
Tergesteo abbracciò l'animale e non potè fermare un pianto.

Il Pazzo iniziò a mormorare.

“Sono qui disperato e aspetto; intorno a me sono antiche tavole infrante. Quando viene la mia ora? A quando la fine ? A quando il tramonto?
Frattanto, come uno che ha tempo, parlo a me stesso. Nessuno mi racconta novità: così io narro a me, me stesso.”

Fratelli miei, chi è una primizia, viene sempre sacrificato. E noi siamo primizie.
Tutti noi sanguiniamo su segreti altari sacrificali, noi tutti bruciamo e arrostiamo in onore di antichi idoli.
La nostra parte migliore è ancor giovane: ciò solletica i vecchi palati.
La nostra carne è tenera, il nostro pelo è quasi un pelo di agnello: come potremmo non solleticare i vecchi sacerdoti degli idoli!
E in noi stessi che abita il vecchio sacerdote degli idoli, e si arrostisce la nostra parte migliore per il banchetto. Ahimè, fratelli miei, come potrebbero le primizie non essere olocausti!

D'altronde, così vuole il nostro carattere; e io amo
coloro che non pretendono di conservarsi. Io amo con tutto il mio amore quelli che tramontano: perché sono coloro che vanno oltre.

Io amo gli ardimentosi: ma non basta essere bravi guerrieri; bisogna anche sapere chi colpire!
E spesso c'è più valore nel contenersi e passar oltre: per risparmiarsi in vista di un nemico più degno!

Dovete soltanto avere dei nemici da odiare, ma non da disprezzare: dovete essere orgogliosi del vostro nemico: l'ho già detto una volta.

Dovete risparmiarvi, amici miei, per il nemico più degno: perciò è necessario che passiate sopra a molte cose: particolarmente a molta gente, che vi frastorna le orecchie col popolo e coi popoli.
Conservate puro il vostro occhio dai loro pro e contro! Molto v'è in essi di giusto, e molto di ingiusto: a guardarli vien la rabbia!

Guardarci dentro e colpirci dentro è come una cosa sola: perciò andatevene nelle foreste e mettete a dormire la vostra spada!
Andate per le vostre vie! E lasciate che il popolo e i popoli vadano per le loro! Sono vie oscure, in verità, sulle quali non lampeggia una sola speranza!
Chi vi domina è il mercante, tutto ciò che ancora vi riluce è soltanto oro da bottegaio, vile chincaglieria! Non è più tempo da re: quello che oggi si chiama popolo non se li merita.

Guardate come ormai questi popoli imitano il merciaio: si scelgono le più piccole particelle di vantaggi da ogni maceria!

Si spiano a vicenda, strappano sempre qualche segreto agli altri, e questo chiamano 'regole di buon vicinato'. Oh, felici tempi lontani, quando un popolo diceva soltanto: 'Voglio essere signore dei popoli!'
Perché, o fratelli, il meglio deve dominare, il meglio vuole altresì dominare! E là dove la dottrina dice altrimenti, è il meglio che manca.”

Quando riprese coscienza di sé , il fulvo animale era scomparso.
Di quella visione rimaneva soltanto tristezza e una vaga sensazione di disgusto

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